Ho chiesto ad Oswald, il mio amico tanzaniano di raccontarmi che cosa significhi per lui questa frase.
“Sono cresciuto fin da piccolo assumendomi la responsabilità dei fratelli più piccoli, le mansioni di casa e l’accudimento sono compiti da condividere tra i componenti della famiglia, al di là del ruolo genitore-figlio. Questa attitudine non è dettata solo dalla necessità, dato che spesso i genitori sono fuori casa per lavoro, ma anche da un principio molto radicato nella cultura africana: il senso di comunità. Ancor di più se cresci in un villaggio, questo principio è alla base di tutti i comportamenti dei singoli individui. Sì, perché se cresci in un villaggio cresci in una grande famiglia composta da tanti nuclei famigliari, che fanno riferimento ad un consiglio di saggi e ad un capo. Una o due volte al mese tutti i componenti del villaggio si incontrano e condividono le loro gioie e le loro difficoltà e la comunità cerca insieme una soluzione. I figli all’interno delle famiglie sono innanzitutto i figli della comunità e la responsabilità della loro crescita e della loro educazione è condivisa tra tutti. Se il comportamento di un bambino è sbagliato, lo puoi correggere, anche se non è figlio tuo. E i genitori non solo non si offendono, ma ti ringraziano!
Un orfano non è mai solo in un villaggio, oltre ai parenti stretti come gli zii o i nonni che si prendono cura di lui, è figlio di tutti. Se un bambino esce di casa e non torna a mangiare, nessun genitore si preoccupa, perché è normale condividere il cibo con chiunque arrivi a casa tua, il bambino all’interno di un villaggio è sempre in mani sicure”.
A che cosa serve conoscere uno stile di vita diverso dal nostro? Non certo ad idealizzarlo, tanto meno a criticarlo, ma serve ad aprire la nostra visuale ad altri punti di vista. E mentre si scopre il mondo con occhi diversi, inevitabilmente si scoprono anche nuove parti di sé. E’ molto difficile cambiare drasticamente il nostro stile di vita, ma forse è possibile diminuire il nostro isolamento ed agire insieme, genitori, insegnanti, educatori come “villaggio educante” per i NOSTRI bambini.
“I bambini pensano grande” dice il maestro Franco Lorenzoni, a patto che vengano messi nelle condizioni di essere veramente ascoltati. Come? Forse cercando di fermarsi più sulle loro domande senza avere la fretta di fornire subito una risposta, dando loro lo spazio di formulare un pensiero autonomo e poi valorizzandolo, cercando di stare con quello che sono adesso e allentando la presa sulle attività programmate e sull’insegnamento a tutti i costi. L’arte di stare nel momento presente, di cui peraltro i bambini sono maestri, apre nuovi percorsi comunicativi e interconnessioni creative che fanno bene a tutto il “villaggio”. Soprattutto apre la possibilità di confronto con altri soggetti e affina la capacità e il piacere di ascoltare opinioni diverse dalle proprie. E’ una perdita di tempo tutto questo? Lo è solo se per noi non è importante dare ai bambini gli strumenti per conoscere se stessi. Infatti noi scopriamo noi stessi stando insieme agli altri, confrontandoci con loro. Ecco perché ha senso la comunità, perché attraverso lo scambio e le relazioni, ri-conosciamo qualcosa di noi e siamo aiutati a dare un senso più profondo alle cose che ci circondano. E allora più guide popolano il mondo interiore ed esteriore dei nostri bambini, più strumenti e linguaggi avranno per dare un senso al loro stare nel mondo e noi adulti per aiutarli a diventare individui responsabili liberi e consapevoli.
Per crescere un bambino non serve solo un villaggio, ma il mondo intero.
Che significato dai tu a questa frase? Chi è stato il “tuo” villaggio, quando crescevi?”
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